Nella sua raccolta di canti “Africa, nostra madre terra” che si dipana lieve e intensa come una sequenza di sussurri, le parole non evocano solo immagini da contemplare ma realtà umane che coinvolgono mente e cuore fino ad attraversare le profondità del nostro sentire. Una poesia non ermetica, degna di una figlia dell’oralità, che parla di vita, di resistenza tenace e silenziosa: l’Africa, si dice, cammina sulle gambe delle sue donne, maestose, fiere regine col collo piegato e la schiena ricurva sotto pesi atavici, perle brune con cuori custodi di gioia, cariche di speranza sognando l’impossibile: un mondo migliore. È anche l’Africa dei migranti che sognano nuovi approdi : “Esausti/ lasciate inghiottire/ il vostro corpo/ insieme ai sogni/ di patrie lontane. Gli abissi,/ gelosi del loro bottino, / custodiscono il colore/dei vostri cuori caldi” (da Naufraghi) . “La poesia di Elisa Kidanè chiama in causa le nostre responsabilità storiche e politiche verso l’Africa saccheggiata dal Nord del mondo, violata e abusata dal colonialismo e dal mercato onnivoro e dispotico. Non bastano le buone pratiche di cooperazione, occorre una diversa politica capace di nuova umanità” (Patrizia Sentinelli, Presidente Associazione Altra Mente).